- Questa la motivazione della Giuria: "Non
abbiamo avuto nessuna esitazione a riconoscere nella
poesia Lezioni di anatomia, di Oreste Bonvicini, le
caratteristiche di una ispirazione fulminea, uno
sguardo poetico che vede anche nella realtà
più asettica, come nel contesto scenico di una
autopsia, la storia e il segno dell'uomo, il suo
gesto. La lirica di Bonvicini ha il significato di una
ribellione culturale verso lo sguardo dell'uomo
moderno - uno sguardo freddo e disincantato, cinico,
che spia dal buco della serratura, che indaga con
presunzione scientista anche negli aspetti più
intimi della persona, quali il corpo. Il poeta sembra
urlare che quel corpo messo lì, sul tavolo di
acciaio, inondato dalla luce impietosa dei riflettori,
esposto alle considerazioni di un argomentare che
sembra non parlare di lui ma dei suoi "pezzi"
disorganizzati e quindi cosificati, ha ancora la
dignità che gli viene dalla sua storia, dal suo
"esserci stato", nel mondo, dall'avere in tale mondo
agito, amato, pensato, dall'essere stato ricambiato
nei sentimenti e negli affetti.
- La semplicità, ma insieme la
profondità e l'immediatezza di questa
considerazione, non sono però soltanto la
conseguenza di questo "sguardo poetico" capace di
dare, per così dire, la vita e ri-creare un
gesto e un segno che lo sguardo cosificante della
scienza sprofonda nella dimensione del fenomeno
astratto e senza nesso di senso con la storia dei
vivi. Leggiamo in questi versi anche una decisa presa
di posizione contro la dissociazione mente-corpo che
è frutto di una concezione filosofica
bi-millenaria dell'occidente: lo sguardo del poeta
infatti restituisce dignità al corpo,
riconoscendogli una funzione comunicativa (cioè
la capacità di comunicare senso) laddove la
ragione astratta e il calcolo vedono soltanto materia
inerte, un meccanismo rotto, una macchina. E questa
funzione comunicativa si rende esplicita dal modo con
cui il poeta presenta le sua lirica: quattro quartine
centrali racchiuse da due versi, uno all'inizio e uno
alla fine. Il primo, una citazione da Gianni D'Elia,
recita: "Dì, ci pensi mai a noi già
vissuti?" e l'ultimo, "Dimmi, ricordi quali mondi /
hai veduto in vita?". Queste due interrogazioni, che
poi sono il corrispondente linguistico di questo
"sguardo" di cui si diceva sopra, ridanno dunque vita
al corpo straziato sul tavolo della vivisezione,
riconoscendogli dignità di interlocutore, e
quindi dignità di persona inserita alla pari in
un evento comunicativo. Una chiara polemica dunque,
una ribellione esplicita (sottolineata anche dalla
ripresa di quel verso di D'Elia, tratto da un'opera
che affronta il tema della trasformazione del
linguaggio e del senso dei gesti più
quotidiani), un incitamento a mutare il nostro sguardo
e a saper vedere, di là delle cose
strumentalizzate e mortificate, un simbolo, un
senso.
- Ma se il poeta riconosce questo ruolo di
comunicazione a un cadavere, significa anche che la
sua è una poesia che intende rivedere il senso
della morte, in un tempo nel quale l'idea della morte
o di ciò che ad essa ci conduce (malattie,
vecchiaia, precarietà e fragilità
dell'essere) è ferocemente messa al bando dal
trionfalismo dei Mass Media, compresi quelli
scientifici. Sembra che l'uomo, mai sazio di tempo,
inconsciamente voglia puntare a questo traguardo:
abolire la morte, con la scienza, non più con
la magia o l'alchimia. Ed in questo tentativo esprime
un atto di fede: la scienza prima o poi ci darà
la vita eterna. Ecco allora che il poeta, con queste
poche righe, mostra l'inutilità di una tale
ambizione, perché la morte e la vita sono
eventi che non possono ostacolare la comunicazione; e
che è appunto il corpo il luogo di questa
storia e di questa comunicazione che, una volta
avvenute, superano la temporaneità e diventano
tempo psicologico e non più cronologico. Questi
ed altri contenuti ci suggerisce l'immediatezza della
poesia di Bonvicini, ma ciò che ci ha indotto a
riconoscerlo vincitore di questo premio è stata
anche la proprietà nell'uso del linguaggio
poetico, e la capacità di trasformare in poesia
la descrizione di un evento che di per sé non
ha certamente particolari suggestioni poetiche.
Bonvicini usa un verso libero e molto sobrio, alieno
da estetismi, e con sottolineature fonoprosodiche
misurate, laddove sono davvero utili per dare
più profondità al messaggio. Per questi
motivi riteniamo che egli sia il degno vincitore di
questa edizione dell'anno 2000 del premio "Il Club dei
Poeti".
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- Gianmario Lucini
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del libro "Cibernetica"
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tratte dal libro "Cibernetica"
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concorso Club Poeti 2000 sez. poesia
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