- Il
colore dell'oriente lontano e misterioso, il profumo
dell'incenso e la fragranza delle foglie di palma erano
stati racchiusi nel suo nome come in una conchiglia che
l'oceano porta di riva in riva. Ma erano passati secoli.
Pallida e smorta in viso, occhi verdi infossati in
occhiaie torbide di dolore, era solo un ventre
rigonfio.
- Si teneva alla porta con una mano
piccola e chiazzata di rosso, con addosso una vestaglia
macchiata, i piedi ingrossati ballavano in due pianelle
di cencio scolorito. I capelli scendevano in cordelle ai
lati della faccia, un ciuffo trattenuto sulla
sommità del capo da due forcine nere incrociate.
Dovevano essere stati un'eternità quei sei mesi
per Giada. Mi guardava assente e, come in trance disse: "
Non c'é. "
- Chissà chi pensava
cercassi, la vecchia, forse.
- " Sono venuto per te, per portarti
via. "
- " Perché? " Mi colpì
quel chiedere non dove, ma perché.
- " Mara ti ha cercato, prima di
partire... "
- " Ti manda lei? "
- " Sì."
- " E lei, lei dov'è? " Si
era come rianimata e sporgeva il collo in fuori scrutando
nel buio a cercar di vedere un'altra
figura.
- " Non è qui. Non è
potuta venire. " Che fosse morta, non lo
sapeva.
- " Mi aiuti tu? "
- " Certo che ti aiuto.
"
- " Ma... non credo che mi lasci
partire così. Vuole i soldi, sai. Per avermi
tenuta qui. "
- Qui era una stanza fradicia
d'umidità, sporca e fredda, con due o tre
suppellettili indecenti.
- " Io sto male; "
- " Ti farò curare.
"
- " Deve nascere il mese
prossiomo.."
- " Nascerà.
"
- " Ma adesso s'é spostato
e poggia qui e mi fa male e non riesco a camminare...
"
- " Andiamo via.
"
- " Come ti chiami? " Glielo
dissi.
- " Aldo. Io sono Giada... , ma
lo sai, che stupida! "
- " Andiamo. "
- " È tuo quel cane?
"
- " Lui è Felix.
"
- " Io non so... se si arrabbia,
poi è peggio. "
- Di che parlava? Del cane? No,
della vecchia.
- " Non si arrabbia.
"
- " Hai i soldi da darle?
"
- " Sì, li ho. " mentii,
mi venne facile.
- " Allora va bene. Sarà
contenta. "
- " Vieni? "
- " Dovrei vestirmi, ma i miei
vestiti li ha presi lei e poi tanto non ci entrerei...
" Aveva le lacrime agli occhi.
- L'avvolsi nel mantellaccio, le
infilai un braccio intorno alle spalle e la spinsi
fuori da quel letamaio, reggendola. Accostai la porta,
chiudendola alle nostre spalle.
- " Bene, bene... vediamo di
parlare un po', signor mio. " Aspettava nell'ombra del
cortile ingombro e puzzolente.
- " Non credrai di partire
così, senza un saluto a chi s'é preso
cura di te, vero? " Si fece avanti, vecchia e tonda e
sorridente.
- " Non c'é niente da
dire. Ce ne andiamo. Niente soldi. Si dovrà far
bastare un grazie. " Secco e senza cerimonie. Ci si
parò davanti.
- " Troppo facile, signor mio. Se
è così che la metti, contadino, lei
resta qui. "
- " Lo crede davvero? Dico, crede
davvero di potermi impedire di andarcene?
"
- " Da sola, no, certo... ma,
vedi, non sono sola. "
- Due figure, sagome nel buio, mi
erano ai lati e Giada mi premeva sul petto, Felix
sulla gamba. Mi guardai intorno nel budello cercando
un angolo dove metterla al riparo. Si facevano vicini,
troppo vicini.
- " Calma, stai calma. le
mormorai. Si strinse ancor di più, legandomi i
movimenti. Avrei dovuto allonatanarla di forza.
- " Lascia perdere. " disse uno
dei due rivolgendosi alla vecchia.
- " Lasciar perdere?
Perché? Cosa ti salta in mente? O paga lui
adesso, o paga lei quando s'é sgravata !
"
- " Lascia perdere, ti dico. "
Voce strascicata " Lo conosco. Eravamo insieme, in
montagna. Ehi, ne è passato di tempo! Credevo
fossi morto. " Silenzio nel cortile.
- " Tu non ti ricordi di me,
eravamo in tanti, ma io di te sì. E così
non sei morto. "
- " No. "
- " Ti ho visto cadere...
"
- " Mi hanno ferito...
"
- " Chiaro. E adesso vuoi la
ragazza. Non mi interessa il perché. Ma, per
quel che mi riguarda, te ne puoi andare tranquillo. In
nome del passato. E tu smettila di berciare, se no mi
dimentico che sei solo una vecchia ruffiana, buona
solo per i cani da farcisi i denti! "
- Mi fece un cenno con il
capo,gli risposi con un cenno e lasciai il
cortile.
- Tenevo in piedi Giada quasi di
forza, perché continuava ad afflosciarsi come
un sacco vuoto, ma dopo due passi, mi resi conto che
non ce la faceva a camminare. Piegata in due, si
premeva una mano sulla schiena, in basso e gemeva. Fu
così che la presi in braccio e mi incamminai
con lei e Felix attaccato alla gamba verso il centro
della città. Volevo andarmene e subito,
prendere un treno e tornare a casa dove l'Ernesta
avrebbe saputo cosa fare. Un po'portandola di peso, un
po'sostenendola, fermandomi a farla riposare sempre
più frequentemente, attraversai la città
nella notte fresca e già profumata. Se ero
stanco, non ci facevo caso: ero partito da solo,
tornavo con una donna, un bambino e un cane.
Così è fatta la vita. Quando credi che
ogni cosa sia giunta ad un punto fermo, che nulla
d'altro possa sorprenderti, ecco, qualcosa si muove,
fa cenno, grida, e l'avventura riprende. O il
miracolo, chissà.
- Alla stazione presi il primo
treno in partenza per la mia terra, riuscii a farvi
salire anche Felix, non ricordo che storia raccontai
al controllore, ma tanto quello aveva solo una gran
paura che Giada partorisse o morisse sul suo treno.
Rifeci il viaggio verso casa, cercando di renderlo il
meno tremendo possibile alla donna disfatta che era
con me. Ma comunque mi parve lunghissimo,
interminabile, solo molto tempo dopo compresi che lo
era stato davvero, interminabile, dico, come lo sono i
percorsi infiniti che riconducono i cuori ai loro
luoghi d'origine.
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