- Quanto sanno le
farfalle
- del
fiorire
- delle
pietre
-
- da Poesie di Karl Lubomirski
Parte 3: Il Sacro
-
- Mi tastai la
cicatrice in alto sulla fronte, quello che avevo sempre
avuta, quella che bruciava e tirava la pelle giorno e
notte.
- Stava sorgendo il sole, rivolsi un lungo sguardo
all'ovale pallido del volto di Mara, le sorrisi, mi
avvicinai alla piccola finestra, scostai la tenda quel
tanto che bastava e guardai fuori i prati e i campi a
perdita d'occhio e pioppi alti pronti a rivestirsi
dell'argento di foglie lucenti.
- Il sangue scorreva veloce, lo sentivo pulsare nei
polsi, alle tempie e sapevo, sapevo che non era finita,
non ancora. Andai alla porta della camera e l'aprii.
Seduta su una sedia di legno, dal sedile impagliato,
stava l'Ernesta, proprio a fianco del battente, sullo
stretto pianerottolo, il rosario fra le dita. Doveva
esserci stata tutta la notte.
- " Ho mandato ad avvertire il prete. "
disse
- " Me ne vado. " le risposi
- " Quando torna? "
- " Non lo so. "
- " Ma torna, vero? "
- " Torno, Ernesta, torno. "
- " C'é da pensare a tante cose... alla
terra, alle bestie... Dove vuole che sia sepolta?
"
- La fissai dritto negli occhi marroni infossati,
quasi persi in un mare di rughe.
- " Èmia moglie, no? Vicino a mia madre. " le
risposi.
- " Giusto. " Ed ero già fuori di casa, con
il mantellaccio sul braccio, perché era ancora
fresco così di buon'ora e la sacca con le mie cose
in mano, diretto alla stazione della città. Avrei
compiuto in senso inverso il viaggio che avevo fatto con
Mara, l'inverno prima. Glielo dovevo, a Mara. E a me. Se
è vero che occorre dare un senso alla vita, per
poterla vivere, io quel viaggio lo dovevo fare.
- In tre giorni ritornai là da dove solo
cinque mesi prima ero partito e solo una volta che fui
arrivato mi resi conto che non avevo fatto attenzione
né ai passeggeri che pure s'erano avvicendati nel
sedile accanto al mio, né al paesaggio che
scorreva fuori dal finestrino: avevo guardato senza
vedere, avevo udito senza comprendere, niente m'aveva
toccato, nessuno m'aveva distolto dai miei pensieri. Lo
strano era che non mi ero preparato alcun piano, nemmeno
un programma, avevo solo un'idea fissa: quello che volevo
fare, perché Mara aveva voluto farlo,
perché adesso anch'io volevo farlo. Avevo, in una
parola, solo uno scopo da raggiungere. Come non sapevo.
Ma avevo il modo di provare a Mara che non l'avrei
scordata, mai, la mia farfalla dalle ali trasparenti,
delicata e insieme forte, posata come un fiore fra l'erba
del campo.
- Eravamo partiti d'inverno, tornavo di primavera e
lì la primavera era già tiepida e gli
alberi avevano già messo le foglie e i fiori
sbocciavano più colorati che al paese al nord. Il
mantellaccio mi sarebbe servito di notte, perché
mi sarei sdraiato all'aperto, lo ripiegai più
stretto che potei e lo cacciai a forza nella sacca.
- M'incamminai fra la gente e i tram sferraglianti e
le biciclette malandate, passai attraverso alcuni
mercatini dove si poteva comprare di tutto, perché
pareva che tutti cercassero di vendere di tutto, mobili,
soprammobili, argenti, vestiti. Le bancarelle più
affollate erano quelle dove si vendeva da mangiare,
frutta e verdura e formaggio e pesce... raggiunsi la
casa- cantina e la trovai occupata da una famiglia con
tre bambini piccoli: me l'ero aspettato, ma avevo voluto
ripassarvi ugualmente, sentivo che era giusto. Come il
primo giorno, mi fermai nel campo fra le costruzioni dove
i bambini giocavano e strillavano e mi sedetti a terra
con la sacca fra i piedi ad aspettare la notte.
- Quando fece buio io mi alzai, raccolsi la sacca e
m'incamminai. Raggiunsi le strade perse nella luce
sfumata dei lampioni: erano in poche in attesa. Vedendomi
sperarono in un cliente, dapprima, ma esperte com'erano,
subito capirono che no, se ero in cerca, stavo cercando
altro. Però due di loro furono gentili lo stesso e
mi parlarono.
- L'inverno era stato brutto, freddo, umido e
malattie, per non parlare dei soldi che non c'erano, dei
prezzi alti, si mangiava cicoria e patate, patate e
cicoria, e alcune erano morte, altre avevano scelto di
lavorare al chiuso, riparate dalla pioggia e dal vento,
al caldo e ben nutrite e curate come la legge imponeva,
fra le braccia materne di una delle tante signore. Anche
loro ci sarebbero andate volentieri, ma cercavano ragazze
un po'giovani e bellocce, sulla strada rimanevano gli
scarti. Roba per manovali, da pochi soldi. A guardar bene
ci sarebbero stati un due o tre posti anche per loro, ma
la situazione non sarebbe cambiata di molto, i bordelli o
erano buoni per i signori o erano degli schifi. E allora
tanto valeva star per strada, anche se loro finivano in
luoghi sempre più lontani e peggio frequentati...
, in fin dei conti a ognuno i suoi rischi.
- " Ho conosciuto una del giro, era giovane e bella.
Giada. Si chiamava Giada. " dissi
- Il nome cadde nell'ombra della notte come un
petalo su un prato: senza rumore.
- " Chi sei? " chiese la bruna, sciupata, i capelli
tinti malamente.
- " Cerco Giada."
- " L'ho capito."
- " Noi non parliamo di lei. " intervenne la
compagna dal viso stanco troppo truccato, troppa cipria,
troppa matita, troppa vita.
- " Perché? "
- " E non diciamo neppure il perché. " Era
cocciuta e prevenuta.
- " Continuerò a cercarla. "
- " Non farlo, è un consiglio. Gratis.
"
- " Lo devo fare. "
- " Io lo sapevo d'averti già visto... Tu sei
quello... Stavi con Mara. " fece la bruna.
- " Sì"
- " Dimmi di Mara"
- " Èmorta."
- " Un'altra. Era buona." commentò
- " Amen." disse l'altra.
- " Mara voleva sapere di Giada. Erano
amiche."
- " Lo sapeva che era scomparsa e poi... poi
c'è stata quella faccenda... sì, c'è
scappato il morto e nessuno sa chi sia stato...
"
- " Chiunque può essere stato, non è
che avesse tanti amici, Raul... " il viso stanco era
contratto, le rughe risaltavano scolpite sotto la
cipria
- " Zitta! Meno se ne parla, di Raul, meglio
è. " La bruna aveva una voce dura, asciutta, come
se non avesse più saliva.
- " Ormai è all'inferno... "
- " State zitte, stupide! Ne abbiamo avuto
abbastanza di lui e della polizia, io ne ho avuto
abbastanza, almeno. " Una terza s'era avvicinata,
più anziana delle altre due, quasi grottesca nel
tentativo di mascherare l'avanzare degli anni con un
trucco pesante, da farla sembrare mummificata: eppure era
splendida nello sforzo di conservare almeno l'apparenza,
per di più fittizia, di una giovinezza finita
chissà quano tempo prima.
- " Anche lui cercava Giada... " Fece la bruna, come
parlando a se stessa.
- " Ma non l'ha trovata... " Constatò la
seconda.
- " Come fai a dirlo? " La mummia aveva una voce
gracchiante.
- " Ècosì, no? "
- " Sì, non l'ha trovata, buon per lei... "
La vecchia sapeva.
- " Dov'é Giada? "
- " Lo sai che è incinta? "
- " E se non la trovo presto, finisce che
partorisce... "
- " Che cosa vuoi da lei? Dico, ammesso che la
trovi. "
- " Aiutarla voglio, mi capite? Mara l'avrebbe
aiutata. "
- " Ma sì, tanto peggio di così non
può andare. "
- " Siamo d'accordo? "
- " Diglielo, dai! se può aiutarla davvero...
almeno una che trovi un po'di pace! " la bruna
incitò la vecchia dal viso che pareva un
mascherone di quelli che si vedono alle fiere.
- " Va bene. Per quel che può valere... Giada
s'é voluta tenere il bambino ad ogni costo ed
è scappata da Raul, poi Raul è morto e
almeno da quella parte non ha più avuto da temere,
ma s'é trovata senza soldi e di lavoro non se ne
parla neanche, a parte quello solito, e lei diventa
grossa e ha paura per il bambino e noi l'abbiamo anche
aiutata come s'é potuto, ma è messa male,
proprio male... "
- " Dove? "
- " No, non dir niente! Non lo sai chi è.
Magari ... " Aveva paura e ci ripensava, quella dal viso
incipriato.
- " Magari cosa? Lo capite che voglio solo aiutarla?
"
- " No, Non lo capisco. Io non riesco proprio a
capire perché. E ho paura di quello che non
capisco. Tu, questo, ce la fai a capirlo? "
Insisteva.
- " Può darsi... ma sì, sì. Lo
capisco. Facciamo così. Dite a Giada di me, ditele
quello che vi ho raccontato, ditele che son tornato per
lei e per... il bambino. Che mi manda Mara. Vediamo se
lei riesce a capirlo. "
- " Adesso però te ne vai. Alla svelta,
anche. Lasciaci pensare. "
- " Va bene. Ma ditelo a Giada. Diteglielo.
"
- Le lasciai e mi allontanai nel buio, infagottato
nel mantellaccio, perché nel buio faceva quasi
freddo e s'era alzato un vento pungente che passava
attraverso gli abiti e faceva rabbrividire. Camminai in
direzione del fiume e mi appoggiai alla spalla del ponte,
guardando in giù l'acqua nera che s'ingorgava
veloce increspata in cento e cento onde scure e
turbinanti: c'era stato chi s'era gettato da quel ponte e
s'era annegato, e, sapevo, altri ci sarebbero stati che
avrebbero cercato sollievo alla solitudine, alla miseria,
al fallimento, buttandosi giù, annullandosi... No,
semplicemente ammazzandosi. Che c'era di semplice nella
morte? Il fatto che era definitiva, forse. Ma non era
più semplice del vivere, meno varia, questo
sì. La pensavo come uno stato che, una volta
raggiunto, si manteneva uguale e costante, senza
sorprese, mentre la vita offriva la possibilità di
un cambiamento ad ogni istante, dietro l'angolo
s'annidava la speranza che qualcosa potesse mutare in
meglio, un progredire dunque, un migliorare... e poi
c'era la disperazione dell'uniforme procedere di lunghi
giorni monotoni e squallidi, quelli che ogni speranza
affossano.
- Sentivo il bisogno di un lungo respiro pieno di
quiete. Distolsi lo sguardo dall'acqua e guardai in su:
nuvole veloci velavano e scoprivano stelle lontane e
insieme vicine, mondi che solo la notte rivelava. Mondi
in attesa. Di che? Di chi? Non di noi, non adesso.
Sporchi di violenza, viziati da lunghi silenzi arrochiti.
- La notte si dileguò languida nell'alba ed
io ero rigido, perché non avevo cambiato posizione
e il sangue e i muscoli erano come bloccati. Dovevo
muovermi, ma anche aspettare che qualcuno capisse e
venisse a cercarmi. Per questo però dovevo
lasciarmi trovare.
- Mi allontanai così dal ponte e percorsi le
strade che si schiarivano alla luce del giorno, mentre le
persiane incominciavano ad aprirsi, come governate da
mani invisibili e gli ambulanti incominciavano a
sistemare i banchetti; un altro giorno da vivere apriva
le braccia al mondo e sorridendo sornione invitava alla
fatica di sempre, alla delusione, al tradimento,
all'ingiustizia, perché le creature hanno grande
cuore e spalle larghe per reggere tutto questo. Si dicono
fronteggiandosi: " Èla vita. " E tirano innanzi. A
volte i giovani si ribellano, ma questo è un altro
discorso.
- Ritornai nella strada dove la notte avevo chiesto
di Giada, più per istinto che altro. Non avevo
certezze. Mi sistemai con le spalle appoggiate al muro
screpolato di una casa malridotta, il sole mi feriva gli
occhi, ed io non distoglievo lo sguardo, facesse pure.
Avevo una sensazione strana, comedi non esser solo ad
aspettare: intorno passavano persone, ma nessuno si
curava di me, anche se due o tre mi lanciarono uno
sguardo appena curioso, chi sei?, ma senza convinzione.
Una leggera pressione alla gamba destra mi fece volgere
gli occhi in giù e vidi, accanto a me, anzi
incollato a me, un cane sporco, no, sudicio e magro,
risultato di non so che miscuglio di razze. Era, questo
si capiva, giovane, undici mesi, un anno, non di
più. Mi guardava, muso all'insù, occhi
attenti. Quando i nostri occhi si incontrarono,
scodinzolò, semplicemente scodinzolò.
- " Ciao, amico " dissi e aggiunsi " Sei solo?
"
- Scodinzolò freneticamente: certo che era
solo e non gli piaceva. Era tanto chiaro. Aprii la sacca
e gli diedi un pezzo di pane, lo divorò. In questo
modo io ebbi un cane mio, in seguito lo avrei chiamato
Felix, perché era un cane felice, affettuoso e
ciarliero, proprio quello che io avrei voluto essere, e
fiducioso anche.Fui contento di non esser più
solo.
- Poco distante c'era un negozietto d'alimentari.
Quando vi entrai mi colpì la scarsezza delle merci
offerte, le mensole di legno mezzo vuote, gli articoli da
poco prezzo, l'aspetto trascurato di quello che pensai
fosse il proprietario e tutta un'atmosfera di squallore
che pareva intridere il quartiere e scivolare attraverso
la pelle fino dentro il sangue delle persone.
- " Buon giorno. Posso aiutarla? " la voce gentile e
piana mi fece girare verso l'angolo a sinistra della
porta d'ingresso dove, su una sedia impagliata stava una
vecchia che non avevo visto entrando. Piccola e
grassoccia, ma con un colorito giallognolo, i capelli
bianchi raccolti in una crocchia alta sul capo, mi si
rivolgeva sorridendo, le mancavano i denti davanti, poi
appoggiò le mani deformate dall'artitre o
semplicemente dall'età, sul banco e facendo leva,
si tirò in piedi. Era piccola di statura e , tonda
com'era, sembrava un gnocchetto di patate.
- " Mi dica, signore.." Guardai verso l'uomo in
mezzo al negozio, spazzava per terra usando una ramazza
di saggina, pareva, di controvoglia.
- " Dica a me, signore. Lo lasci perdere... lui ha
il suo lavoro da fare... "
- " D'accordo. " Mi guardai in giro cercando,
infastidito da tutto quel signore troppe volte ripetuto,
indispettito dal sentirmi infastidito, in ultimo cercava
d'esser gentile e , perché no, d'ingraziarsi un
cliente, quando sentii un guaito; mi girai in tempo per
vedere l'uomo menare un gran colpo con il manico della
scopa a Felix che aveva fatto capolino all'entrata del
negozio, prendendolo proprio in mezzo alla schiena. Il
cane non fuggì, ma s'appiattì di lato,
tremando, così sozzo, così magro, lui che
mi era venuto dietro, povera bestia e aveva solo fame e
chiedeva poco. L'uomo alzò di nuovo la scopa, e
fece per menare un altro colpo e Felix guaì ancor
prima che il colpo gli arrivasse.
- Ero arrabbiato. In due passi fui davanti all'uomo,
gli tolsi con delicatezza la scopa dalle mani, appoggia
il manico sulla gamba destra e feci forza, spezzandolo.
Non fu un gran sforzo. " Il cane è mio. " dissi
calmo, come se fosse bastato a spiegare il
gesto.
- " Lo scusi, signore. Non gli piacciono gli animali
e poi in negozio, per igiene, sa... " La vecchia tonda
era sempre in piedi, appoggiata al banco. Presi due
scatolette e un pezzo di pane.
- " Ho un po'di buon vino. Dalla campagna...
arrivato da poco. "
- " No, grazie, basta questo. "
- " Èsicuro? Proprio sicuro? "
- Era troppo insistente, mi affrettai a cercar il
denaro per andarmene.
- " Sì, sono a posto così. "
- " Credevo che cercasse qualcosa... qualcuno...
avrò capito male."
- Smisi di cercare il denaro. Sapevo che l'uomo alle
mie spalle era immobile. Era un uomo robusto, non
più giovane, ma ancora forte. Trassi un respiro e
dissi: " Cerco qualcuno, sì, ma non credevo che
l'avrei trovato qui. "
- " Perché no? Siamo tutti una famiglia e ci
diciamo di questo e di quello... "
- " Allora? Che cosa può dirmi? "
- " Dipende solo da quello che il signore può
darmi. "
- " Già. Èchiaro. Siete una famiglia e
vi aiutate, non è vero? "
- " Certo. Oh, certo, io non voglio sfruttare una
cosa tanto, come posso dire? , tanto penosa... ma vede,
ho da pensare anche a me che son vecchia e stanca e
malata e gli affari vanno male e poi, io ho avuto delle
spese... "
- " Dov'é? "
- " Se ci mettiamo d'accordo... "
- " Non ci mettiamo d'accordo finché non la
vedo. "
- " Non credo sia possibile. "
- " Io credo di sì. "
- Presi le mie cose, pagai, uscii.
- Attraversai la strada e mi sedetti su un gradino
di mattoni di fronte al negozietto. Dalla sacca tolsi un
apriscatole di metallo e aprii una scatoletta, il pranzo
per Felix. Il cano odorò, leccò e ci si
buttò dentro anima e corpo, poi, quando nemmeno
l'odore rimase, mi guardò e sorrise. Perché
le bestie sanno sorridere. Èun dato di fatto. Tesi
una mano e l'accarezzai, pelo ispido e folto, sul dorso:
Felix si accucciò al mio fianco. " Aspettiamo. "
gli dissi. " Va bene. " mi rispose, stiracchiandosi e
aggiustando il muso nell'incavo della mia anca. Socchiuse
gli occhi e fece una specie di leggero gorgoglio. " Va
bene. Bene. Adesso. " lo rassicurai.
- Attendemmo. Tenevo la mente sgombra da pensieri,
ricordi, speranze. Volevo essere pronto e preciso ,
reattivo. Che cosa accadeva nel negozio? Che cosa nella
testa di quella gente? Niente o tutto. Mi potevano vedere
chiaramente se solo guardavano fuori: io ero lì.
Avrebbero dovuto far la loro mossa. Speravo che si
muovessero in fretta. Perché Giada non aveva tempo
da perdere. Ed io non avevo denaro, non certo quanto
volevano. Provavo l'impulso di alzarmi, andare da loro,
buttare quelle loro carabattole per aria, prendere a
calci l'uomo e dar alla vecchia qualcosa su cui
riflettere fino all'ultimo dei suoi giorni. Qualcosa che
sapesse di paura e di crepuscoli grigi e di notti nere:
ma no, ne avevo abbastanza di grigio e di nero, ceneri
sperse nell'aria appestata di un dopoguerra che
incominciavo appena a vedere. Era tempo di ricostruire,
non di distruggere, pensavo.
- L'idea di una ricostruzione che fosse intima,
personale, coerentemente connessa alla presa di coscienza
del passato, e poi, solo poi, fosse materiale, attiva,
concreta, mi faceva sentire meglio, un altro -me- avrebbe
potuto nascere... , ma avevo bisogno di Giada, per
ricostruire me stesso.
- Il tempo passava e già imbruniva e, nello
scurirsi del cielo si accendevano piano piano le prime
stelle; Felix si stiracchiò, aprì la bocca
in un grande sbadiglio che mise in mostra due fila di
denti candidi, forti, appuntiti. Con uno snap richiuse le
mascelle e mi sorrise, agitando la coda festoso: " Si
mangia? " chiedeva il suo sguardo.
- Aprii l'altra scatoletta e gliela offrii con
l'aggiunta di un po'di pane. Quando l'ebbe vuotata, mi
alzai, andai alla fontanella all'angolo , la riempii
d'acqua e gliela porsi, poi bevvi anch'io chinato a
raccogliere l'acqua in bocca e a sciacquarmi la
faccia.
- " Non girarti a guardarmi, d'accordo? " la voce
veniva dalla mia sinistra, era bassa, un po'roca e molto
molto stanca. Comunque era un uomo a parlare. Feci cenno
di sì.
- " Se vuoi davvero far qualcosa per lei, è
meglio che ti muova. Lei non ha molto tempo ancora...
Insomma non sta bene... e poi... "
- " Poi che cosa? "
- " Lo vedrai da te. "
- " Dove? "
- " Dietro il negozio la vecchia ha una stanza. Ci
si entra dal retro. Vacci e portatela via. Non so che
cosa posso fare per aiutarla, io non me ne posso andare,
invischiato sono e lo sarò sempre, ma se ce fai,
dille che non è mai stata del tutto sola, in
questi mesi... e che Dio ti maledica se le farai del
male! Che Dio ti maledica! "Ci fu rumore di passi
frettolosi e la voce scomparve con essi.
- "Che Dio mi maledica, se non riesco a portarla
via. " mormorai.
- Mi rialzai e mi guardai verso il negozio: l'uomo
lo stava chiudendo: una volta si girò per un
istante verso di me e, come s'accorse che lo stavo
fissando, si voltò di scatto. Sapevo che era stato
lui a parlarmi, perché non volesse che qualcuno se
ne accorgesse, quello no, non lo sapevo, ma era un altro
motivo di inquietudine.
- Nello squallore s'agitava ancora squallore.Era
nell'aria. Era tangibile. Scricchiolava sotto la suola
degli stivali, Felix lo annusava ogni volta che
respirava, l'odore di rancido della crudeltà.
Amatevi l'un l'altro... mia madre lo diceva, citando, ma
mia madre era una pia donna che credeva che gli uomini
fossero buoni, tutti: magari rubavano un po', magari
facevano qualche stoltezza, da giovani soprattutto, ma
erano, dico erano, buoni. Nel profondo della loro
animaccia nera come la pece.
- Quando il buio fu completo e come un mantello
avvolse le case e piovve sulla strada che poche luci
illuminavano fiocamente, a passo lento mi mossi verso un
cortiletto dietro il negozio. Stretto e lungo, ingombro
di casse e cassette, emanava puzzo di immondizia vecchia
lasciata a imputridire. Era di terra battuta, polverosa
sotto lo stivale: Felix annusò in giro,
starnutì e mi si appiccicò alla gamba. Un
lato, quello da cui ero entrato, era aperto sulla strada,
due erano cinti da quello che mi parve una specie di rete
metallica, il quarto era formato dal retro della casa e
lì, come aveva detto l'uomo, c'era una porta,
chiusa, di legno. Nessuna finestra, ma, da sotto la porta
filtrava un po'di luce.
- Mi accostai e Felix con me. Ascoltammo alla porta:
non un rumore, niente di niente. Dovevo entrare. Potevo
bussare. Ovvio. Se qualcuno c'era all'interno, avrebbe
risposto, magari chiesto: " Chi è? " Era un punto
di partenza. Alzai la mano chiusa a pugno, e feci per
battere le nocche contro l'unico battente che pareva di
un legno scrostato verde scuro, quando la voce mi
arrivò vicinissima:
- " E allora, cosa vogliamo fare? La signora,
vogliamo fare! Sdraiata, servita, solo per via di un
pancione! Eh, sì, carina, me ne dovrai di
riconoscenza, quando ti sarai sgravata! No, no, non ne
voglio di storie, qui c'è il tuo mangiare, e, bada
bene, mangia che la roba costa e a me finora non me
n'é venuto niente di quello che ho fatto... Niente
storie! ... "La voce si allontanò pungente e
stridula, sentivo passi strascicati all'interno e uno
sbatacchiare qua e là di oggetti, poi fu ancora
vicina, proprio dietro la porta, come se la vecchia, era
lei, parlasse appoggiata al battente. Lei dentro a
parlare ed io fuori ad ascoltare e fra di noi solo un
pezzo di legno infradiciato dalle piogge di troppi
inverni.
- " Èvenuto un tanghero, oggi. Bella roba!
Contadino dalla testa ai piedi. Quello che ti cerca,
quello mandato da Mara, come dicono le ragazze. Ma non ne
ha voluto sapere di sganciare neanche un soldo. E dire
che non ti ha neanche vista! Se ti vedesse ridotta come
sei, scapperebbe come il vento, invece è stato
tutto il santo giorno seduto davanti al negozio... Chi
è? Di'su, lo sai? No? Faresti meglio a saperlo,
magari gli potresti rifilare il bambino...
Èinutile che mi guardi... Cosa ti credi, che
mantenga anche lui? Che gli stia dietro magari, mentre la
mamma va a lavorare? Povera cretinotta, dovevi pensarci
prima! "
- All'interno si udì lo sbattere di una
porta, forte. La vecchia doveva essersene andata, ci
doveva essere un modo per passare direttamente dal
negozio alla stanza. Silenzio.Mi venne in mente Raul.
Accarezzai la testa calda di Felix, alzai di nuovo la
mano e bussai.
-
- " No, davvero, non so dov'è andato. Non so
quando ritorna. Però l'ha detto che torna. E
pensate che sia un'indecenza che non l'abbia accompagnata
al cimitero. perché? Pensate che non l'amasse
bastanza. Che se ne fregasse? Non potete fare uno sforzo,
bifolchi che siete, bravi a scodellar prediche, e pensare
che lui ce l'abbia un altro modo, di accompagnarla, un
altra maniera di pregare? No? Sono affari vostri, dite.
Allora. Lui sa quello che fa. Lui l'amava. Lei lo amava.
Sì, è diverso. Lo so. Allora? Vi ha fatto
del male? Davvero? Vi ha picchiati? Ècome se lo
avesse fatto? Vedo: ha sputato su una regola che a lui
non sta bene. Allora? Ma lo capite che è forse
proprio perché l'amava in quel modo - che non
è il vostro modo -, che si è tolto da qua.
Come se avesse lasciato qualcosa in sospeso. Anzi come se
tutti e due avessero lasciato qualcosa in sospeso, un
conto da pagare, che ne so io? E dunque, voi, statevene
zitti e fatevi gli affari vostri. Ci sono tanti modi di
voler bene. Voi ne conoscete uno e dev'esser buono per
tutti. Non è così che funziona. Beh, io
adesso me ne torno a casa. La terra se l'è presa.
Lei lo sa dove è andato. Erano d'accordo. Loro non
si sono persi di vista. Si guardano dentro ancora e si
ritrovano. No, no, cari miei, non è che voglia
trovar delle scuse. Non ne hanno bisogno."
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