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- Era ancora notte
quando lasciammo la stanza di Mara, con la mia sacca ed
un fagotto stretti fra le dita e ci avviammo a piedi alla
stazione.
- Prendemmo il primo treno in partenza per la
pianura a nord, dove d'inverno la neve si congela e
riveste gli steli d'un abito di ghiaccio, dove era stata
la mia casa: adesso che sapevo da dove venivo, là
volevo portare Mara.
- Fu un viaggio lungo, cambiammo treno più
volte e ad ogni stazione vedevamo gente salire e scendere
dai vagoni con vecchie valigie sciupate, spesso di
cartone pressato, legate con corde, oppure reggendo
fagotti come il nostro, infreddoliti, stanchi; alcuni
dissero che avevano sentito che si trovava lavoro su al
nord, altri pensavano di far un po'di soldi, poi
emigrare. I treni correvano fra campi che l'uomo aveva
ripreso a coltivare, si vedevano macerie accanto a case
nuove: era la ricostruzione, mi disse uno che sembrava
intendersene, la ricostruzione dopo la guerra,
perché dopo le grandi guerre ci sono sempre le
ricostruzioni. Lo guardai fisso e feci per domandargli
che senso avesse distruggere per ricominciare tutto
daccapo, perché venisse poi a sua volta distrutto,
così in una catena intrminabile di mattoni eretti
in bell'ordine e poi rovesciati, poi ricostruiti e poi
ancora ribaltati... Quale era il senso della cosa? Glielo
chiesi.
- Mi guardò stupito, ma per nulla
disorientato:
- " Le guerre ci vogliono, creano un bel repulisti,
sai."
- " Tu ci sei stato. "
- " Sì, certo, ci sono stato, come tutti
quanti... "
- " Ci sei stato, proprio stato? "
- " Ti ho detto di sì."
- " Quanti ne hai ammazzati? "
- " Ammazzati? Ma dico, sei matto? Le guerre si
fanno in tanti modi... Io ero ... "
- " Dietro ad una scrivania, in divisa... dietro a
una scrivania... "
- " Dietro a una scrivania, certo, ma con grandi
responsabilità. "
- " Non c'é responsabilità più
grande di metter fine alla vita di qualcuno." dissi
piano. Mi sentivo allucinato. Stanco. Svuotato.
Rimbalzavo contro una parete di gomma. un colpo, ero a
terra. Mi rialzavo, un altro colpo, a terra di nuovo e
così via.
- Mara mi strinse la mano forte, mentre l'individuo
si alzava, prendeva la sua valigia e lasciava lo
scompartimento.
- Si viaggiava in terza classe, su sedili di legno,
in vagoni impregnati dell'odore di liscivia e sudore, si
prendeva da mangiare un po'di pane e formaggio e talvolta
qualcuno apriva una bottiglia e la faceva girare, una
sorsata a testa, tanto per gradire e per scaldarci. Avevo
fatto delle braccia il nido dove Mara potesse riposare.
La guancia le si era gonfiata, la disinfettavo, cambiavo
la medicazione e speravo che non s'infettasse. Lei non si
lamentava. Mi aveva ascoltata attenta mentre le
raccontavo quello che di me era emerso la notte della
morte di Raul. Senza interrompermi. Quando avevo taciuto,
sulla soglia dove ricominciava il silenzio, aveva
accarezzato il viso: " Come deve esser stato difficile! "
aveva detto.
- Non tremendo, non assurdo, ma solo difficile, che
mi accorsi ben s'addiceva alla mia storia, che,
sì, era stata davvero, solamente,
indiscutibilmente difficile. Aveva saputo cogliere
l'essenza dell'angoscia, la difficoltà nel viverla
allora, nel ripensarla adesso. Era parte di lei, della
sua umanità quella capacità di trovare
nella marea che porta a riva un po'di tutto, dal
cavalluccio marino, alla scarpa vecchia, la piccola
conchiglia anonima, grigia e bianca, con le valve
semichiuse, sporca di granelli di sabbia, e farne la voce
del canto perenne del mare.
- Dai finestrini sporchi di polvere, vedevamo
scorrere il paesaggio invernale, il grigio del cielo,
colline scure di pioggia e nebbia infine che tutto
avvolgeva, ovattando i suoni, stesa come una coperta
lungo gli argini e sulla campagna. Ormai eravamo
arrivati. Sentivo il profumo degli inverni della mia
giovinezza.
- " Che cosa faremo? " mi chiese
- " Troverò un posto dove stare, in pace, al
sicuro, tranquilli e l'inverno passerà e
verrà la primavera e vedrai che tutto andrà
bene;"
- Sorrise uno dei suoi sorrisi, ma era
sfinita.
- " Ormai non abbiamo più soldi."
- " Troverò da lavorare."
- " Sembra che di lavoro non ce ne sia. "
- " Troverò da lavorare." ripetei
determinato.Volevo che non si preoccupasse, che pensasse
a noi due insieme, a me che di lei avrei avuto cura,
perché era il mio amore. Volevo portarla sulla
terra che era stata di mio padre e che adesso doveva
essere mia, ancora mia, nella casa di pietra del fattore,
con la grande cucina e la camera da letto che dava
proprio sul frutteto, così che ti arrivava il
profumo degli alberi dalla finestra fino sul letto e lo
potevi respirare aprendo gli occhi la mattina, con il
fienile lì accanto... sembrava di entrare in un
sogno. Volevo portarla nella mia vita in quella che era
stata la mia vita e spartire con lei i domani, quietare
le orde di ricordi e tormenti che ci destavano la notte,
insieme.
- Arrivammo. La gente sciamò fuori dalla
stazione e si perse per le strade tirandosi appresso le
valigie e i fagotti. Ci fermammo sul piazzale: sulla
sinistra si ergeva la mole della chiesa che ricordavo, un
miscuglio di stili, eppure armonica nella struttura come
un pezzo d'opera suonato a più mani. Davanti a noi
si apriva la città.
- " Ci fermiamo qui? " chiese Mara. " Dobbiamo
trovare un posto per dormire e poi, domani, cercare...
"
- " No, non qui. Voglio portarti a casa. " le
risposi.
- Prendemmo una corriera stracolma di gente, diretta
al paese.
- La nebbia era spessa e sempre più
s'infittiva man mano che ci allontanavamo dal centro
abitato. Ad ogni fermata, qualcuno scendeva, qualcuno
saliva. Avevo trovato un posto a sedere per Mara che
stava con la fronte appoggiata al vetro del finestrino,
lo sguardo opaco.
- " Presto saremo arrivati. Ormai è finita. "
le dissi. Annuì.
- Lasciammo la corriera e a piedi con i nostri
fagotti camminammo seguendo la strada di campagna,
melmosa e sdrucciolevole, sembrava non dovesse finire
mai, ma già io avevo riconosciuto la macchia di
pioppi e i campi lasciati senza colture, la terra di mio
padre. Intravvidi il lucore gelido dello stagno
ghiacciato. Glielo indicai.
- " Ci siamo."
- La casa del fattore ci fu davanti all'improvviso,
come la ricordavo, il colore giallo carico la faceva
risaltare come sospesa nella nebbia e già
l'Ernesta, la moglie del fattore, ci apriva la porta:
rimase interdetta davanti a due straccioni, forse ebbe
anche paura, poi, di colpo, mi riconobbe, Dio solo sa
come poté, e gridò:
- " Signor Aldo" e ripeté: " Signor Aldo!" e
si mise a piangere, perché pochi erano tornati di
quelli che erano partiti dalla mia terra e suo marito
s'era ammalato in prigionia ed era morto e alla fine lei
era tornatata lì, ché tanto non avrebbe
saputo dove andare dopo che i suoi vecchi erano morti e:
- " Che Dio ci aiuti, c'é tanto da fare e
tutto va in malora, ma è proprio lei. Sono
contenta, lei non può sapere come sono contenta.
"
- E intanto ci aveva fatti entrare, e sedere accanto
al gran fuoco del camino, nella cucina annerita dal fumo,
e ci versava latte caldo in tazze blu.
- " Bevete, ché è caldo. Dovete aver
patito un gran freddo. Viaggiare in pieno inverno! Ma da
dove venite? " Mi fissò.
- " Che cosa le è successo? Dicevano che era
morto anche lei. "
- " Siamo stanchi, Ernesta, veniamo da lontano,
posso avere la camera dove stavo dopo... dopo l'incendio?
"
- " E c'é da chiederlo? Il padrone è
lei, lo sa. Sempre. Suo padre ha fatto tanto,
finché ha potuto per me per gli altri... , Non ci
voleva proprio quella disgrazia! "
- Ci fece strada su per la scala che portava al
piano superiore, di legno grezzo, dritta, come quelle dei
pollai. Aprì la porta.
- " Ecco, disse, è tutto in ordine. Prendo le
lenzuola e faccio il letto... " Guardò
Mara.
- " Èmia moglie. " dissi
- Sapeva che mentivo, ma sorrise e disse: " Sono
contenta. "
- Aprì l'armadio di legno di ciliegio, ne
trasse lenzuola e coperte e si diede da fare. Mara
guardava fuori dalla finestra, nel buio, era come
intontita.
- " Sa se il vecchio dottore pratica ancora?
"
- " Chi, il Bovi? Certo che sì. "
- " Vorrei che facesse un salto qui. "
- Mara si riscosse e fece segno di no. No, no, no
dicevano i suoi occhi.
- " Domani viene un ragazzo del pase che mi aiuta
con la legna e quelle due bestie nella stalla. Gli
dirò d'avvertire il dottore che lei è
tornato e vuole vederlo."
- " Bene. Grazie. "
- Lasciò la stanza e Mara fece:
- " Non voglio veder nessun medico. "
- " Voglio che ti guardi la ferita."
- " E come gliela spiegherò? "
- " Non chiederà niente. "
- Andammo a letto, lasciando aperti gli scuri della
finestra e la luna sorse a colorar d'argento la nebbia
intorno ai tronchi dei pioppi lungo l'argine del fiume.
Stavamo abbracciati in un vero letto, sotto coperte
calde, fra muri antichi come le parole che non dicevamo.
La baciai sulle labbra, piano. La strinsi dolcemente:
sapevo che era amore.
- Il Bovi venne il pomeriggio successivo, era
invecchiato tanto da sembrar decrepito, ma mi strinse la
mano con forza, come si fa fra uomini di poche parole,
curò la ferita di Mara, le diede un buffetto sulla
guancia, ammiccò e disse: " Ferita di guerra!
Sistemeremo anche questa! "
- Lasciò la stanza e fuori, nell'aria fredda,
proprio nell'aia dove Nico ed io avevamo giocato bambini,
mi disse che sarebbe morta presto: " Forse non
arriverà a primavera. "
- E, come si fa fra uomini che ne hanno viste di
tutti i colori, mi diede una pacca sulla spalla e se ne
andò.
- Mi ero creato un sogno, una vita da vivere con
Mara. Non si sarebbe realizzato, se non in parte: non
avrei avuto una vita con Mara, ma un po'di tempo, qualche
mese, sì. Mi sarebbero dovuti bastare. Me li sarei
dovuti far bastare.
- Rientrai in casa, salii la scala, entrai in
camera, la presi fra le braccia e nella luce
dell'inverno, feci l'amore con lei. Con dolcezza. Per
sentirla mia. Per sentirmi dentro di lei. Per ricordare
sempre lei fra le mie braccia ed
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