Inediti On line
 
Farfalle
di

 Daniela Manzini Kuschnig

PARTE II (Mara)

Capitolo 6

 
Era ancora notte quando lasciammo la stanza di Mara, con la mia sacca ed un fagotto stretti fra le dita e ci avviammo a piedi alla stazione.
Prendemmo il primo treno in partenza per la pianura a nord, dove d'inverno la neve si congela e riveste gli steli d'un abito di ghiaccio, dove era stata la mia casa: adesso che sapevo da dove venivo, là volevo portare Mara.
Fu un viaggio lungo, cambiammo treno più volte e ad ogni stazione vedevamo gente salire e scendere dai vagoni con vecchie valigie sciupate, spesso di cartone pressato, legate con corde, oppure reggendo fagotti come il nostro, infreddoliti, stanchi; alcuni dissero che avevano sentito che si trovava lavoro su al nord, altri pensavano di far un po'di soldi, poi emigrare. I treni correvano fra campi che l'uomo aveva ripreso a coltivare, si vedevano macerie accanto a case nuove: era la ricostruzione, mi disse uno che sembrava intendersene, la ricostruzione dopo la guerra, perché dopo le grandi guerre ci sono sempre le ricostruzioni. Lo guardai fisso e feci per domandargli che senso avesse distruggere per ricominciare tutto daccapo, perché venisse poi a sua volta distrutto, così in una catena intrminabile di mattoni eretti in bell'ordine e poi rovesciati, poi ricostruiti e poi ancora ribaltati... Quale era il senso della cosa? Glielo chiesi.
Mi guardò stupito, ma per nulla disorientato:
" Le guerre ci vogliono, creano un bel repulisti, sai."
" Tu ci sei stato. "
" Sì, certo, ci sono stato, come tutti quanti... "
" Ci sei stato, proprio stato? "
" Ti ho detto di sì."
" Quanti ne hai ammazzati? "
" Ammazzati? Ma dico, sei matto? Le guerre si fanno in tanti modi... Io ero ... "
" Dietro ad una scrivania, in divisa... dietro a una scrivania... "
" Dietro a una scrivania, certo, ma con grandi responsabilità. "
" Non c'é responsabilità più grande di metter fine alla vita di qualcuno." dissi piano. Mi sentivo allucinato. Stanco. Svuotato. Rimbalzavo contro una parete di gomma. un colpo, ero a terra. Mi rialzavo, un altro colpo, a terra di nuovo e così via.
Mara mi strinse la mano forte, mentre l'individuo si alzava, prendeva la sua valigia e lasciava lo scompartimento.
Si viaggiava in terza classe, su sedili di legno, in vagoni impregnati dell'odore di liscivia e sudore, si prendeva da mangiare un po'di pane e formaggio e talvolta qualcuno apriva una bottiglia e la faceva girare, una sorsata a testa, tanto per gradire e per scaldarci. Avevo fatto delle braccia il nido dove Mara potesse riposare. La guancia le si era gonfiata, la disinfettavo, cambiavo la medicazione e speravo che non s'infettasse. Lei non si lamentava. Mi aveva ascoltata attenta mentre le raccontavo quello che di me era emerso la notte della morte di Raul. Senza interrompermi. Quando avevo taciuto, sulla soglia dove ricominciava il silenzio, aveva accarezzato il viso: " Come deve esser stato difficile! " aveva detto.
Non tremendo, non assurdo, ma solo difficile, che mi accorsi ben s'addiceva alla mia storia, che, sì, era stata davvero, solamente, indiscutibilmente difficile. Aveva saputo cogliere l'essenza dell'angoscia, la difficoltà nel viverla allora, nel ripensarla adesso. Era parte di lei, della sua umanità quella capacità di trovare nella marea che porta a riva un po'di tutto, dal cavalluccio marino, alla scarpa vecchia, la piccola conchiglia anonima, grigia e bianca, con le valve semichiuse, sporca di granelli di sabbia, e farne la voce del canto perenne del mare.
Dai finestrini sporchi di polvere, vedevamo scorrere il paesaggio invernale, il grigio del cielo, colline scure di pioggia e nebbia infine che tutto avvolgeva, ovattando i suoni, stesa come una coperta lungo gli argini e sulla campagna. Ormai eravamo arrivati. Sentivo il profumo degli inverni della mia giovinezza.
" Che cosa faremo? " mi chiese
" Troverò un posto dove stare, in pace, al sicuro, tranquilli e l'inverno passerà e verrà la primavera e vedrai che tutto andrà bene;"
Sorrise uno dei suoi sorrisi, ma era sfinita.
" Ormai non abbiamo più soldi."
" Troverò da lavorare."
" Sembra che di lavoro non ce ne sia. "
" Troverò da lavorare." ripetei determinato.Volevo che non si preoccupasse, che pensasse a noi due insieme, a me che di lei avrei avuto cura, perché era il mio amore. Volevo portarla sulla terra che era stata di mio padre e che adesso doveva essere mia, ancora mia, nella casa di pietra del fattore, con la grande cucina e la camera da letto che dava proprio sul frutteto, così che ti arrivava il profumo degli alberi dalla finestra fino sul letto e lo potevi respirare aprendo gli occhi la mattina, con il fienile lì accanto... sembrava di entrare in un sogno. Volevo portarla nella mia vita in quella che era stata la mia vita e spartire con lei i domani, quietare le orde di ricordi e tormenti che ci destavano la notte, insieme.
Arrivammo. La gente sciamò fuori dalla stazione e si perse per le strade tirandosi appresso le valigie e i fagotti. Ci fermammo sul piazzale: sulla sinistra si ergeva la mole della chiesa che ricordavo, un miscuglio di stili, eppure armonica nella struttura come un pezzo d'opera suonato a più mani. Davanti a noi si apriva la città.
" Ci fermiamo qui? " chiese Mara. " Dobbiamo trovare un posto per dormire e poi, domani, cercare... "
" No, non qui. Voglio portarti a casa. " le risposi.
Prendemmo una corriera stracolma di gente, diretta al paese.
La nebbia era spessa e sempre più s'infittiva man mano che ci allontanavamo dal centro abitato. Ad ogni fermata, qualcuno scendeva, qualcuno saliva. Avevo trovato un posto a sedere per Mara che stava con la fronte appoggiata al vetro del finestrino, lo sguardo opaco.
" Presto saremo arrivati. Ormai è finita. " le dissi. Annuì.
Lasciammo la corriera e a piedi con i nostri fagotti camminammo seguendo la strada di campagna, melmosa e sdrucciolevole, sembrava non dovesse finire mai, ma già io avevo riconosciuto la macchia di pioppi e i campi lasciati senza colture, la terra di mio padre. Intravvidi il lucore gelido dello stagno ghiacciato. Glielo indicai.
" Ci siamo."
La casa del fattore ci fu davanti all'improvviso, come la ricordavo, il colore giallo carico la faceva risaltare come sospesa nella nebbia e già l'Ernesta, la moglie del fattore, ci apriva la porta: rimase interdetta davanti a due straccioni, forse ebbe anche paura, poi, di colpo, mi riconobbe, Dio solo sa come poté, e gridò:
" Signor Aldo" e ripeté: " Signor Aldo!" e si mise a piangere, perché pochi erano tornati di quelli che erano partiti dalla mia terra e suo marito s'era ammalato in prigionia ed era morto e alla fine lei era tornatata lì, ché tanto non avrebbe saputo dove andare dopo che i suoi vecchi erano morti e:
" Che Dio ci aiuti, c'é tanto da fare e tutto va in malora, ma è proprio lei. Sono contenta, lei non può sapere come sono contenta. "
E intanto ci aveva fatti entrare, e sedere accanto al gran fuoco del camino, nella cucina annerita dal fumo, e ci versava latte caldo in tazze blu.
" Bevete, ché è caldo. Dovete aver patito un gran freddo. Viaggiare in pieno inverno! Ma da dove venite? " Mi fissò.
" Che cosa le è successo? Dicevano che era morto anche lei. "
" Siamo stanchi, Ernesta, veniamo da lontano, posso avere la camera dove stavo dopo... dopo l'incendio? "
" E c'é da chiederlo? Il padrone è lei, lo sa. Sempre. Suo padre ha fatto tanto, finché ha potuto per me per gli altri... , Non ci voleva proprio quella disgrazia! "
Ci fece strada su per la scala che portava al piano superiore, di legno grezzo, dritta, come quelle dei pollai. Aprì la porta.
" Ecco, disse, è tutto in ordine. Prendo le lenzuola e faccio il letto... " Guardò Mara.
" Èmia moglie. " dissi
Sapeva che mentivo, ma sorrise e disse: " Sono contenta. "
Aprì l'armadio di legno di ciliegio, ne trasse lenzuola e coperte e si diede da fare. Mara guardava fuori dalla finestra, nel buio, era come intontita.
" Sa se il vecchio dottore pratica ancora? "
" Chi, il Bovi? Certo che sì. "
" Vorrei che facesse un salto qui. "
Mara si riscosse e fece segno di no. No, no, no dicevano i suoi occhi.
" Domani viene un ragazzo del pase che mi aiuta con la legna e quelle due bestie nella stalla. Gli dirò d'avvertire il dottore che lei è tornato e vuole vederlo."
" Bene. Grazie. "
Lasciò la stanza e Mara fece:
" Non voglio veder nessun medico. "
" Voglio che ti guardi la ferita."
" E come gliela spiegherò? "
" Non chiederà niente. "
Andammo a letto, lasciando aperti gli scuri della finestra e la luna sorse a colorar d'argento la nebbia intorno ai tronchi dei pioppi lungo l'argine del fiume. Stavamo abbracciati in un vero letto, sotto coperte calde, fra muri antichi come le parole che non dicevamo. La baciai sulle labbra, piano. La strinsi dolcemente: sapevo che era amore.
Il Bovi venne il pomeriggio successivo, era invecchiato tanto da sembrar decrepito, ma mi strinse la mano con forza, come si fa fra uomini di poche parole, curò la ferita di Mara, le diede un buffetto sulla guancia, ammiccò e disse: " Ferita di guerra! Sistemeremo anche questa! "
Lasciò la stanza e fuori, nell'aria fredda, proprio nell'aia dove Nico ed io avevamo giocato bambini, mi disse che sarebbe morta presto: " Forse non arriverà a primavera. "
E, come si fa fra uomini che ne hanno viste di tutti i colori, mi diede una pacca sulla spalla e se ne andò.
Mi ero creato un sogno, una vita da vivere con Mara. Non si sarebbe realizzato, se non in parte: non avrei avuto una vita con Mara, ma un po'di tempo, qualche mese, sì. Mi sarebbero dovuti bastare. Me li sarei dovuti far bastare.
Rientrai in casa, salii la scala, entrai in camera, la presi fra le braccia e nella luce dell'inverno, feci l'amore con lei. Con dolcezza. Per sentirla mia. Per sentirmi dentro di lei. Per ricordare sempre lei fra le mie braccia ed
 

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Si è classificata 1° al concorso Marguerite Yourcenar 1996, sez. narrativa.
Si è classificata 6a p.m. nel concorso Marguerite Yourcenar 1996, sez. poesia.
Si è classificata 8° nel concorso Il Club dei poeti 1997, sez. poesia.
 
Si è classificata 1° al concorso Città di Orzinuovi 1998, sez. narrativa.
 
 
Daniela Manzini Kuschnig vi offre la lettura
di due racconti:
"A passeggio fra le nuvole"
"Le cose"
 
 
 
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agg. 16 maggio 2000