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- Fu un inverno
bellissimo: freddo, con neve che scendeva a falde larghe
e gelate che trasformavano i cespugli in sculture
bizzarre.
- Fu un inverno lungo e bellissimo: il camino era
sempre acceso e i ceppi scoppiettavano, il profumo della
legna usciva dal cassonetto in cui veniva riposta e
impregnavava la casa. L'Ernesta si dava molto da fare per
me e per Mara. Aveva incominciato a raccontarmi della
terra, dei problemi che c'erano, di quello che era andato
perduto, di quello che si sarebbe dovuto fare,
così come i vicini avevano incominciato a fare.
- " Èda crepacuore vedere andare tutto in
rovina, signor Aldo. Io mi ricordo com'era... Se il suo
povero padre vedesse ... "
- " Vede, Ernesta, vede. "
- Mi guardò interrogativa, come a chiedere "
E allora? che cosa si fa? "
- " Aspettiamo la primavera. " dissi.
- Mara era tranquilla, esile, delicata, con la sua
tosse che non le dava pace, e sempre splendidi erano i
suoi occhi profondi come laghi di montagna: ci si poteva
annegare nei suoi occhi. La tenevo al caldo dentro il
cuore, la cullavo tenendola stretta, le baciavo le
palpebre perché non vedesse, perché non
pensasse a nulla che non fossimo noi.
- Non ci volle molto prima che l'Ernesta si rendesse
conto di quello che stava capitando ed allora si fece da
parte, d'istinto, come per lasciarci tutto lo spazio,
l'aria che poteva, ma mai disse una parola.
- Si era sotto Natale. Avevamo fatto fuori un
cappone. Volevo che fosse un bel Natale, di quelli che si
ricordano. In cucina l'Ernesta trafficava intorno alla
stufa, rimuovendo le anelle di ghisa, spostando tegami,
era nervosa.
- " Senta, signor Aldo, non sono affari miei, no, lo
so, ma non mi guardi così, io sono un'ignorante,
me lo diceva sempre anche mio marito, che era un
brav'uomo e doveva aver ragione, ecco, io penso a sua
madre e allora mi domando, ma perché, non fa
venire il prete? "
- Non dissi una parola, guardai in su , verso la
scala, Mara era di sopra, sentii rabbia a
quest'intrusione e voglia d'urlare e insieme di buttare
fuori la mia disperazione.
- " No, ma che cosa ha capito? ", intervenne in
fretta l'Ernesta, frapponendosi fra me e il pensiero di
quella morte, " Io dico: è Natale, ma
perché non vi sposate? "
- Rimasi di sasso. Non ci avevo pensato. Non mi era
passato per la mente, mai. Tanto che avevo creduto che
l'Ernesta mi consigliasse di chiamare il prete per una
confessione, un sacramento insomma, in vista della morte
di Mara.
- " Non crede che sarebbe un bel regalo di Natale?
Per la signora, dico."
- Mi sollevai dalla tavola cui ero appoggiato quando
il discorso era iniziato, mi avvicinai all'Ernesta tutta
rossa e affannata, la bacia sulla guancia vizza e le
mormorai all'orecchio: " Grazie. "
- Divenne ancora più rossa in viso, ma
insieme quasi si gonfiò, orgogliosa e contenta. Mi
domandai da quanto tempo doveva tenersi dentro quel suo
discorso.
- Fu così che il prete venne a casa, e, nella
cucina tirata a lucido, io sposai Mara, tre giorni prima
di Natale. Con l'Ernesta che piangeva e faceva da
testimone insieme al sacrestano che aveva accompagnato
l'anziano don Fulvio che ancora si occupava della salute
delle anime del paese.
- Quando le avevo chiesto di sposarmi, Mara aveva
chiesto: " Perché? "
- " Perché ti voglio come moglie. "
- " Ma e'già come se fossimo
sposati."
- " E allora puoi farmi contento. Voglio che sia
secondo le regole."
- " Le regole? "
- " Perché no? "
- " Fra me e te non si è mai parlato di
regole... "
- " Forse è ora che lo facciamo, non credi?
"
- " Capisci che cosa vuoi fare? Non dimenticare che
io... No, non posso permettere questa... questa cosa. No.
"
- Era determinata. Come sapeva essere. Come la vita
le aveva insegnato a essere.
- " Sarebbe uno spreco se non lo facessimo, uno
spreco di tempo, di sentimenti, un errore, un altro
errore. Aiutami a non fare un altro errore. "
- Sospirò. Occhi di luce chiara e limpida,
trsparenti come fonti di montagna. Annuì. " Va
bene. " disse. " Va bene. "
- Non ci sarebbero stati altri sprechi nelle nostre
vite.
- In questo modo accadde che ci sposammo e il nostro
fu un matrimonio felice e sereno fra le luci che si
scioglievano nella nebbia, nell'inverno che piano piano
si avviava alla primavera e in una sera di primavera
quando i giorni s'erano fatti più lunghi e l'aria
un poco più tiepida, Mara serenamente se ne
andò, con dolcezza chiudendo la porta sulla sua
vita. Ero con lei, tenevo la sua mano fra le mie, ad un
tratto sentii che s'allentava e lei era già
lontana. Le ombre si addensavano nella stanza, io
continuavo a tenerle la mano e la guardavo, non volevo
dimenticare nulla del suo viso, nulla di lei. Era entrata
nella mia vita disperata con leggerezza, delicata e
fragile, palpitante come la farfalla dei campi, dalle ali
bianche, appena appena arrotondate nell'orlo superiore,
aveva volato intorno a me, mi si era posata sugli occhi e
aveva custodito il mio sonno. Ne avevo visto tante di
farfalle così, da bambino e poi da ragazzo,
posarsi sui fiori nel giardino, volarsene via pallide e
luminose fra i cespugli, tra le siepi di bosso.
-
- perché
- in fondo ai giorni la morte attende. Sbircia la
morte fra i giorni della vita. Si vive e si muore, ci si
incontra e ci si perde di vista.
- Funziona così. Una giostra che non cessa
mai di andare in tondo, un cane che si morde la coda.
- Suona la campana.
- Rintocchi di bronzo. A perdersi nella
lontannza.
- Nel profondo, accompagni l'amore alla tomba,
lì lo deponi, dopo averlo cullato un attimo
ancora, stretto al petto.
- Stretto stretto al petto.
- Nel profondo lo sforzo sfinisce.
- Lo sforzo di tentare di convincerti che adesso
dormi serena, che nel luogo dove sei andata non esiste
dolore, solo pace.
- Orrenda pace di membra disfatte, di orbite vuote,
di sentimenti perduti. MANCANZA di te. Depredato.
Devastato. Svuotato. Assoluta mancanza.
-
- Si fece scuro e attraverso l'oscurità che
le velava il volto, in punta di piedi, inesorabili,
arrivarono le immagini scaturite dal passato, dal mio
passato, chiamate a gran voce dal dolore che mi torceva
il petto e premeva gli occhi, richiamati in vita
dall'infelicità e dall'angoscia, poiché
quella sera avevo perso quello che non avrei più
ritrovato, fossi vissuto cent'anni. Le ombre
s'affollarono intorno a me, mi strinsero in un abbraccio
silenzioso, si ritrassero, si ripresentarono compatte,
presero forme diverse, ebbero voce e volti, tanti volti e
tante voci, incominciarono a parlare insieme dapprima
creando solo un'incredibile cacofonia di suoni striduli e
graffianti, poi separatamente come attori sul
palcoscenico ognuno a recitar la propria parte, si
ricompattarono infine come un coro in una tragedia
antica: mi stordirono, mi assordarono, mi raccontarono la
storia lasciata a raccattar ragnatele in un angolo
nascosto della mente da troppo tempo.
- Ed io riebbi il mio passato, completamente. So che
ognuno deve avere un passato a cui rifarsi, nel bene e
nel male, un passato a cui rivolgersi per trarne
insegnamento e conforto, ma io, io che potevo trarre dal
mio ieri annegato nella disperazione di chi colpe non
aveva avuto?
- Il tormento mi assorbì, mi lambì il
collo, mi prese alla gola, affrontarlo era un tormento,
ero vestito di paura, volevo il silenzio, l'annullamento
e volevo Mara a tenermi stretto, la volevo.
- Sapevo che non c'era senso a cercar d'evitare quel
rigurgito venuto con l'oscurità, non c'era senso a
neppure ad accettarlo. Ma nella vita si deve pur
scegliere.
- Potevo chiudere la mente e rifarmi ombra, forse mi
sarebbe ancora riuscito: avrei alzato bandiera bianca, mi
sarei arreso, definitivamente, mi sarei dichiarato pronto
per la non vita che tanti conducono giorno dopo giorno,
di anno in anno, fino al termine del mio tempo.
- Capita, è da sempre che capita, anche ai
migliori, di fuggire per paura, per vigliaccheria, per
amor della pura e semplice sopravvivenza.
- Ma compresi che non sarei stato capace di chiudere
la porta che s'era spalancata del tutto, non avrei potuto
fermare ciò che era iniziato nella stanza cantina
di Mara davanti alle braci rosse della stufa, quando solo
la punta dell'iceberg era emersa come l'enorme coda della
balena che batte furiosa le onde, adesso veniva il resto
e voleva essere visto ed ascoltato.
- Si voleva che soffrissi e che urlassi? allora,
bene. Avrei gridato di dolore, ma non sarei scappato.
Basta una volta, nella vita. Io la mia fuga l'avevo
avuta. Mi aveva accolto, nell'oblio più totale e
mi aveva curato le ferite, adesso era tempo di fermarmi
sul ciglio della strada polverosa, posare il fagotto fra
i piedi e accettare il passato, cercare di riconciliarmi
con l'essere io ancora vivo.
- Io, vivo, sì. Mi sarei chiesto, ma solo
più tardi, il perché.
- Posai con delicatezza la mano di Mara sul lenzuolo
e mi sporsi in avanti, la fissai nell'ombra, la bacia
sulla fronte, poi, senza distogliere gli occhi dal suo
viso immobile, guardai dritto negli occhi le immagini dei
giorni indietro, di quel giorno quando tutto era iniziato
ed ogni cosa era finita.
- " Signor Aldo! Signor Aldo! " era la voce
dell'Ernesta, fuori dalla porta. Non le risposi. Dopo
alcuni istanti la porta si aprì e la testa della
donna sbirciò nella stanza. " Va tutto bene? "
chiese. Era dotata di una specie di sesto senso che forse
le era congenito o che forse l'esperienza e la vita
stessa avevano arricchito. Infatti comprese subito, vide
nell'oscurità e lesse nel mio silenzio. Sentii che
mormorava una preghiera. Poi la porta si richiuse e
l'Ernesta ci lasciò soli alla nostra
intimità.
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