LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA

Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti

 

  Poesie tratte dal libro

Il tempo, la memoria

 di

Adriana Scarpa
Adriana Scarpa, Il tempo, la memoria, editrice Montedit, 1997, Collana Le schegge d'oro, i libri dei premi, pp.32 - Lit. 6000
ISBN 88-86957-24-6
 
Lettera a...
 
... te la porterà un cavallo, forse
o un pavone di luna
questa mia lettera.
Decifra la grafìa
del filo d'oro
il limìo dell'unghia.
È passato attraverso vetri socchiusi
s'è curvato ad ondate
di marea ed ora
è qui il messaggio.
Piccola luce che di me
racconta e attorno spande
la polvere dei gigli
l'argento liquefatto dei pensieri.
 
Ti narro col mio scritto
di come si possa
attorcigliarsi dentro un ricciolo
o farsi nota
sul pentagramma dello spazio.
Leggimi in controsole
ho usato penna di cigno
intinta in succo di limone
e una corteccia invisibile.
Le parole puoi frantumarle
(come il diamante tagliato
si moltiplicano in facce di luce)
e l'una che era
si muta in cascata di suoni.
Così molto saprai
dell'arpa ricurva, dei fianchi
con braccia di salice,
delle mie stanze per grilli.
 
 
 
 
Il cielo si appoggia su di me
 
Racconterò il respiro del tempo
- dicevo - narrerò
lo splendore del pensiero.
Dovunque fossi
trovavo angoli miei da scandagliare
e non lasciavo inaridite gemme
sul ramo ma proiettavo
già schiudersi corolle e infrondivo
il cielo.
Anche adesso
non lascio che si fermi
la montante marea di sensazioni
e pettino adagio i lunghi capelli
dello spazio, scavo
dentro nodi di luce.
 
Il cielo si appoggia su di me
note inquietanti, respiri
mi giocano sulla carne,
vengono a tentarmi,
a vivermi.
 
 
 
 
Schegge di specchio
 
Esci dallo specchio
non restare imprigionata dentro
altra metà di me,
spirito del mio «di fronte»
soprammobile matrioska
che rinchiudi le mie cinque anime.
 
Se rifrango l'immagine mia
dentro schegge argento-mercurio
mi riconosco figura di Picasso
con dita blu di Prussia
e vene giallo cromo.
Si profila nello spazio
il mio posto «occupato»
trasparente, etereo,
fatto di pensieri, entusiasmi
e urgenze sulfuree.
 
Il vento sbeffeggia
questo dialogo assurdo
tra me
e la mia immagine impalpabile
ma io
riesco a trarne fuori l'anima verde
con un guizzo
che pare
una coda di seta.
 
 

Tutto ci si rifà splendore

 
Forse era appena ieri
o stamani. Impossibile tenere il conto
dei giorni che vanno
non abbiamo dita che bastano
a contarli.
 
Si sfilacciano malinconie
oggi il silenzio è teso
si muta in sospiro.
Chiusi i varchi dell'orizzonte
ci lasciamo trascinare come fuochi fatui.
 
Eppure c'è stato un tempo
che abbiamo creduto davvero
di essere padroni del mondo
(tutta sotto di noi la spianata
le case, i piccoli spazi
il diamante delle finestre
e quei gruppi di alberi
in alto come pensieri
a sfidare il tetto del cielo).
 
A ripensarli ancora ci sorreggono.
Nelle brevi schiarite
tutto ci si rifà splendore
che dura appena lo spazio di un respiro.
 
Anche per quell'attimo soltanto
vale la pena di essere vissuti.
 
 
 
Io, un'anfora che racchiude tesori
 
Ho avuto, ho avuto,
ho avuto. Come tenerli
stretti insieme
i momenti felici? quante dita
servirebbero
per numerarli tutti?
Se le sensazioni
all'improvviso mi assalgono
e i frammenti di parole,
gli sguardi che turbavano,
mi accorgo di essere
un'anfora preziosa
che racchiude tesori.
 
Non m'importa allora
che venga l'inverno
dai giorni scoloriti
perché ho cuore di sole
e canti di sorgente
ho piedi scalzi
tra filari di viti
e cortili di luna.
 
Forse
non darà gemme nuove
il mio albero
ma le sue foglie
sono sempre verdi
ed io continuo ad amare
la vita.
 
 
 
L'isola
 
L'isola è perla
tra valve
di conchiglia cielomare.
Lacrima
scivolata dall'occhio
di un dio.
 
Segue
il moto dell'onda
che leviga
il suo volto virginale.
 
A guardarla
stando a pelo d'acqua
s'alza e si abbassa
come un seno di fanciulla
sopra cui alita
il fiato
di un vento innamorato.
 
 
 
 
È l'ora del ritorno
 
All'alga, ai giunchi, vorrei mettere gemme,
l'aria stanca di lucciole a sera.
La melodia, la luce, fra le dita mi sfuggono
ai paesi di sabbia, di pietre ocra.
Fatto di nidi e musica
un pallido tempo
scorre sul lento fiume, sulla spuma argentata.
A misura dello sguardo
varia il vento,
si fanno smalto le case,
la luna che già varca le nuvole.
 
È l'ora del ritorno.
A quest'ultimo approdo
m'identifico con la polena impietrita
armonia d'un attimo antichissimo
che sciolse il canapo e sparve
come cigno in volo.
 
 
 
 
Le belle figlie di Madama Dorè
 
Smettere di cercarla, la chiave.
Tanto si è perduto per sempre
il tempo l'uscio il cancello
l'acquario d'oro
e l'erba smaltataverde.
 
Il cuore sta piantato
sulle rovine, vagheggia
voci e tesori. Ma le conchiglie
più non suonano di mare
e nulla si è salvato dal naufragio.
 
Lunghedita tastano
se qualche serratura
non sia rimasta accessibile
ma anche a spezzarsi le unghie
ed aprirla
cosa mai potremo ritrovare
nello scrigno
se non licheni pallidi
e le belle figlie di Madama Dorè
senza più giovinezza.
E guai a porsi domande
ché quelle sì fanno male.
Dentro il piccolo cerchio
della nostra conoscenza
paiono uccelli catturati
che sbattono impazziti
contro le sbarre.
 
 
 
 
I miei «tanti»
 
Quando il vento è caduto
e si imbruna l'intonaco a chiazze
di fuori
le voci si chetano e dentro la stanza
mi porto i corpi invisibili
di tutte le nascite che avrei voluto.
 
Sarei stata acqua fresca
dove tingono labbra morbide
i fanciulli dell'alba
profumo acuto di glicine
per ubriacare la notte
o tartaruga lentissima, saggia,
che conosce le strade del tempo.
Sarei nata
per essere pioggia viva e lampo
dell'anima
o il fiore che sgrana la terra.
 
Ora qui, nella stanza,
i miei «tanti» si fondono
in allegria,
sussurrano contro i vetri
e allora
spalanco finestre e gli involucri
chiusi
diventano suoni
che vanno in forma di stelle,
chiari, liberi, a spargere
cose segrete di me
tra cuspidi d'aria
infinite.
 
 
Il volto nello specchio
 
Lo conosco per abitudine
questo viso che mi sta davanti.
Non posso affacciarmi, nemmeno circospetta,
nemmeno
entrando dall'angolo sbagliato,
saggiando la superficie
con il pollice:
quel volto sta già lì,
sempre copiandomi.
 
Credo che se al buio
io tasto lo specchio
quel volto
mi si apposta sulle dita
così lo porto appiccicato addosso.
E se tento
di scrollarlo via
ha quasi
un movimento musicale;
gorgheggiando
risate senza voce
ritorna ad acquattarsi, zitto zitto,
dentro la superficie
dello specchio.
Dove
mi aspetta con l'orecchio teso
a captare
il fruscio se mi avvicino
e ricompare
pronto, soddisfatto
dell'immutato gioco
come fa un bambino.
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agg. il 25 luglio 2000